Nella mia ricerca brassicola non potevo non imbattermi in uno stile nuovo(?) e sicuramente controverso che, oltreoceano, sta fomentando polveroni tra addetti ai lavori e semplici appassionati. Ci troviamo difronte ad una birra con caratteristiche che non rientrano in alcuna categoria ben definita (o meglio, non ancora) e ciò ha portato ad una confusione anche nel nome che le viene attribuito. Proprio su quest'ultimo punto vi è la diatriba principale: Black IPA o Cascadian dark ale?
Il mondo della birra si divide in due:
- pro Black IPA: sostengono come il nome sia efficace nel dare idea di cosa ha davanti il consumatore, rigettando le accuse mosse sul fatto che non abbia senso il trovare i due aggettivi "black" e "pale" nella stessa frase poichè oramai il termine IPA è oltre il suo significato letterale ed indica solo una birra generosamente luppolata; inoltre, per loro, la definizione "Cascadian dark ale" è troppo riduttiva e confina la tipologia ad una regione geografica ristretta e che non si sa nemmeno se corrisponda alla regione di origine dello stile;
- pro CDA: vogliono distaccarsi dall'abusata sigla IPA dato che questa tipologia è molto più di una semplice IPA e, oltre alle antitesi semantiche del nome, gli ingredienti utilizzati hanno le caratteristiche di origine della costa nord-occidentale dell'America settentrionale (agrumato, resinoso e di pino); infine, i primi pionieri dello stile provenivano dalla Cascadia (di cui parlerò dopo).
Beh, se tanto difficile viene stabilire cosa è, forse è meglio iniziare a dire cosa non è! Essa appare dal colore "nero" ma non si tratta di una stout più luppolata o di una porter: queste ultime infatti hanno un finale più prominente (e non semi-secco) e l'astringenza dei malti tostati è caratteristica essenziale che invece si cerca di non portarsi dietro nelle CDA/black IPA (a tal proposito si usa una tecnica particolare di infusione fredda). Inoltre, le note di tostato e cioccolato armonizzano bene con il tocco resinoso/agrumato dei luppoli del north-western dando qualcosa che, se assaggiata ad occhi bendati, non fa per nulla pensare a nessuno stile di riferimento.
Concludendo, anche se ritengo molto efficace la scelta di chiamarla "Black IPA" perchè immagini cosa stai per bere, per la mia birra ho deciso di affidarmi alla seconda denominazione, sia perchè ho utilizzato, come componenti caratterizzanti, luppoli e lieviti della costa ovest, sia perchè mi piace l'idea di territorialità della Cascadia, sia per evitare di abusare una volta di più del termine India Pale Ale. E per mettere un punto fermo alla diatriba, parafrasando il Bardo d'Inghilterra, con qualsiasi nome vogliate chiamare una rosa, il suo profumo sarà sempre lo stesso... Non concordate con me?
Nel bicchiere si presenta con una bella schiuma pannosa e persistente, con leggere nuances color nocciola; al naso ciò che colpisce è la quasi assenza di note tostate e un'intensa aromaticità, data dagli abbondanti luppoli (per essere precisi, un fottìo) usati in dry hopping, che va a richiamare note agrumate e resinose. Alla bevuta la percezione dell'amaro la fa da padrona (sono 90 IBU), lasciando una chiusura pulita a cui seguono delle reminiscenze di torrefatto e cacao.
Per l'elaborazione dell'etichetta mi sono ispirato alla bandiera della Cascadia. Innanzitutto, la Cascadia è una bioregione del nord ovest americano che da diversi anni è sotto i riflettori delle scene politiche in quanto un folto gruppo di sostenitori è in cerca di proclamarne l'istituzione a stato indipendente. La bandiera proposta (chiamata confidenzialmente "Doug flag") raffigura un abete (fir) del Douglas, conosciuto anche come "pino dell'Oregon", che rappresenta la sfida, la resistenza e la resilienza su uno sfondo a righe orizzontali di tre colori: il blu, in alto, rappresenta il cielo, l'oceano Pacifico e le acque interne; il bianco, centrale, rappresenta le nuvole e la neve; il verde, in basso, rappresenta i campi e le foreste di sempreverdi.
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