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mercoledì 4 novembre 2020

Fermentazioni di famiglia (IGA)

Finisce l'estate ed è tempo di vendemmia; ricordo quando ero piccolo e il nonno con lo zio erano in fermento per i preparativi. Si andava a raccogliere l'uva e una volta a casa la si deraspava e poi torchiava. Un processo che anno dopo anno si ripeteva solenne per ottenere il vino che avrebbe allietato i pranzi dei giorni successivi e lo spumante per irrorare le feste. 

Passarono gli anni ed ora che il nonno non c'è più, lo zio ha voluto ricominciare questa tradizione. Ha restaurato il vecchio torchio, lavato tutta l'attrezzatura e recuperato una mezza tonnellata di uve di negroamaro. Finalmente la vecchia cantina di casa è tornata ad ospitare il vino dopo che per un po' di anni le uniche fermentazioni in corso erano quelle delle mie birre.

Lo zio e mio padre intenti alla torchiatura
Il giorno della torchiatura ero presente anche io; al mattino avevo brassato una birretta e nel pomeriggio, dopo aver pulito tutto, mi sono messo ad aiutare lo zio mettendo a disposizione le mia forza ed il mio peso. Ad un certo punto, mentre vedevo scorrere nella tinozza il succo dolce e color rubino delle uve spremute, mi viene in mente di fare un esperimento: una bella IGA con il negroamaro che stavamo lavorando! Se ancora qualcuno di voi non lo sapesse, lo stile IGA (Italian Grape Ale) è uno stile birrario recente (inserito nel BJCP nel 2015) ed è l'unico stile autoctono italiano. Ora, la caratteristica comune è che nella birra ci sia del mosto d'uva, tuttavia non è specificato in che modo usarlo per lasciar spazio alla fantasia dei birrai: può essere usato in bollitura, può essere usato come sapa (mosto di vino bollito fino a condensarlo) oppure aggiunto (con o senza previa bollitura per sterilizzarlo) durante la fermentazione.

Mi ricordo dunqe di avere un mezzo chilo di estratto di malto che comprai per fare uno starter e immediatamente butto giù 3,5 litri di birra base in E+G amaricandola con il resto di East Kent Golding che mi era avanzato dalla cotta del mattino. Nel frattempo recupero 1,5 litri di mosto di vino. E qui viene il dubbio fondamentale: come e quando lo aggiungo? Un pò per mancanza di lievito a disposizione (sarei dovuto tornare a casa a prenderlo), un pò per stanchezza dopo una giornata intera di fatica, ho optato per la scelta più facile ma anche più rischiosa: poiché il mosto era già in fermentazione con le bucce da 4 giorni (per la presa di colore) e quindi era già pieno di lieviti buoni attivi, l'ho mescolato direttamente nel fermentatore con il mosto della birra!!

La fermentazione è partita a razzo ed è andata spedita; ne seguivo l'evoluzione dato che avevo scelto di lavorare in una dama di vetro; il colore e il profumo mi facevano sognare... Al momento del travaso ho spostato in un fermentino con il rubinetto e poi ho dovuto abbandonare il tutto per partire a Peschici e iniziare l'anno scolastico, sperando che nella settimana prima di imbottigliare non prendesse il sopravvento qualche lievito selvaggio o qualche batterio indesiderato. Per fortuna è andato quasi tutto liscio e finalmente sono pronto per assaggiare questo esperimento!

Già allo stappo si liberano dalla bottiglia degli intensi profumi di frutti rossi; nel bicchiere appare di un colore a cavallo tra amarena e melograno con una schiuma persistente bianca, appena rosata. Al gusto la sensazione è molto particolare: sembra quasi di assaporare uno spumante ma con il luppolo che, ancora un po' timido, ti ricorda che in realtà è una birra; la frizzantezza poi lascia lo spazio alle tipiche note vinose con un retrogusto leggermente più dolce che ricorda il ribes. Forse avrei preferito un po' di corposità in più per richiamare quella tipica del negroamaro però nel complesso il risultato è molto buono e in questa versione ricorda molto uno spumantino leggero da bere come aperitivo.

In molti mi chiedono il significato del nome scelto per l'etichetta (Xatò), alcuni ipotizzano sia uno scimmiottare lo "Chateau qualcosa" di molti vini francesi, in realtà la verità la sappiamo solo in due...




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